Il gelato come metafora d'impresa: crescere, cadere, ripartire
Dal crollo al successo internazionale: la storia autentica di un imprenditore che ha rimesso al centro cliente, persone e benessere.Facciamo gelato, ma non solo. Siamo una rete di gelaterie artigianali distribuite in nove paesi europei con un totale di 82 negozi. Stiamo crescendo molto e ci divertiamo, ma è una vita un po' stressante: siamo una moltitudine di collaboratori e l'azienda si sta strutturando. Il gelato sembra una cosa banale, ma dietro c'è un lavoro immenso di coreografia e gestione per offrire al cliente un'esperienza perfetta.
Ho vissuto una vita imprenditoriale piena di terremoti. Sono nato con una semplice gelateria di famiglia, poi ho creato una catena da 18 punti vendita... e poi ho quasi fallito. Ho chiuso tutto, e la vita mi ha messo davanti a un bivio: mollare o ripartire. Nel 2008 riparto da me stesso e da quello che era rimasto: 3 negozi.
La lezione più grande? Prima davo per scontato il cliente. Pensavo che fosse normale che ogni giorno prendesse la macchina e venisse da noi. Il fallimento mi ha insegnato che il cliente va messo al centro e così ho iniziato a trasmetterlo a tutti, partendo dai miei 10 collaboratori di allora.
Oggi siamo arrivati a 82 punti vendita e trasmettiamo questa cultura due volte l'anno in eventi nazionali e internazionali. Abbiamo costruito una vera e propria esperienza di brand, fatta di valori, linguaggi, "glue" che affascinano e fidelizzano il cliente.
Il problema? Come mantenere un alto livello di servizio con 1.200 collaboratori. Più il team cresce, più l’energia si frammenta. Se non ripeti come un mantra la centralità del cliente, perdi la coerenza.
Nel nostro headquarter siamo in 52, con 280 persone sul territorio. Quando ho costruito la sede nel 2014 e poi nel 2018, ho pensato prima di tutto agli spazi belli e funzionali per le persone.
Organizzo benefit, eventi, esperienze: li porto a studiare altre aziende e tornare per raccontare. Ma crescendo ho visto che si sono formati reparti chiusi, con obiettivi individuali più che condivisi. Il gioco di squadra si perdeva.
In più aumentavano stress, riunioni, carichi mentali. Ho pensato: "Cosa posso regalare a queste persone per rimetterle insieme, per farle staccare?" La risposta: il wellness aziendale.
Con l'aiuto di coach esterni, li mettiamo insieme due volte a settimana in uno spazio da 600mq per fare attività fisica, movimento, relax. È stato un regalo culturale, una rivoluzione che ha fatto bene a loro e a me.
Li vedo cambiare energia, ritrovarsi, ridere insieme. Questo collante fa la differenza anche sul lavoro: rende i rapporti più sereni, smussa tensioni, trasforma mail scomode in rapporti umani.
In sede si sono emozionati quando abbiamo proposto il progetto. Perché pochi fanno queste cose. Ma queste cose hanno valore: per i clienti, per i collaboratori, per i candidati.
Sui social raccontiamo tutto: è importante mostrare che tipo di azienda sei. Siamo stati premiati agli Employer Branding Awards a Milano. Non so se abbiamo vinto solo per questo, ma credo che il wellness abbia fatto la differenza.
Oggi siamo solo all'inizio di un percorso nuovo, dove il benessere non è un lusso, ma una leva culturale e aziendale. Le persone sono stanche, fragili, sotto pressione. Insegnare loro a respirare prima di una riunione non è una banalità. È una competenza.
Facciamo anche corsi su come gestire clienti difficili o colleghi conflittuali. Ma serve apertura mentale, serve un'azienda che ci crede. E quando succede... è magico.
Raccontare che la tua azienda fa due ore di wellness alla settimana grazie a coach esterni fa la differenza. Ti distingue. Rassicura. Ti fa dire: "Voglio restare qui".
E oggi, trovare persone valide è la sfida più importante di tutte.